Onorevoli Colleghi! - La sentenza della Corte costituzionale n. 191 del 2005, pronunciata il 5 maggio 2005 e depositata in cancelleria il successivo 10 maggio, segna una battuta d'arresto definitiva per la sorte di circa 5.500 lavoratori che, negli anni passati, hanno ottenuto il riconoscimento di alcune forme di inabilità derivanti da cause legate al lavoro svolto, con attribuzione del diritto a prestazioni erogate dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), le quali sono poi state ridotte o revocate a seguito di un complesso procedimento di rettifica per errore, e nuovamente riattribuite grazie all'invocata violazione dei termini di decadenza delle relative azioni procedurali.
      Più in particolare:

          il testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 escludeva la possibilità di rettifica per errore dei provvedimenti di costituzione delle rendite INAIL;

          l'articolo 55 della legge n. 88 del 1989 ha introdotto tale possibilità senza limiti temporali, attivando così una serie di iniziative di verifica con revoca delle prestazioni che i soggetti avevano in godimento da lungo tempo e spesso per patologie molto gravi;

          l'articolo 9 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, ha modificato tale meccanismo prevedendo, da un lato, che per il futuro la rettifica non potesse essere operata oltre il decennio, quale termine di decadenza del relativo diritto per l'INAIL, e, dall'altro (con i commi 5, 6 e 7), che per i casi già rettificati gli interessati potessero chiedere la «rimozione» dei relativi effetti qualora il provvedimento fosse intervenuto dopo il predetto termine decennale.

      Allo stato, quindi, dopo decenni dall'iniziale attribuzione delle prestazioni a tali lavoratori, la sentenza della Corte costituzionale crea una grave difficoltà di

 

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carattere sociale per migliaia di famiglie, peraltro concentrate nell'area di alcuni poli industriali del nord d'Italia, che si troverebbero prive di una voce importante del proprio sostentamento, derivante dal pagamento delle rendite INAIL, per le quali l'Istituto ha comunque stanziato i fondi necessari, comprese le previste riserve tecniche.
      D'altra parte, occorre considerare che la Corte non ha inteso sindacare tanto il riconoscimento del diritto degli interessati sul piano sostanziale, quanto il fatto che esso è stato all'epoca operato con un meccanismo giuridico che metteva in discussione essenziali princìpi giuridici in tema di decadenza, creando una palese disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni nelle quali, come di regola, il legislatore non abbia previsto un analogo meccanismo.
      Resta, quindi, la sostanziale equità dell'intervento a favore di lavoratori - per lo più ormai di età avanzata - la cui situazione è stata considerata meritevole della massima attenzione dal legislatore e dallo stesso assicuratore che risulta avere difeso nel giudizio di costituzionalità l'essenza delle anzidette disposizioni, quali strumento di un adeguato e congruo contemperamento di interessi pubblici e privati.
      Pertanto, per continuare a salvaguardare detto equilibrio nel rispetto dell'obiettivo primario dell'intervento della Corte costituzionale, si propone un'iniziativa legislativa assolutamente urgente, che elimini qualsiasi riferimento ad improprie utilizzazioni dell'istituto della decadenza, riconoscendo ai soggetti interessati il diritto alle prestazioni finora percepite ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n. 38 del 2000.
      L'intervento in questi termini non comporta alcun onere aggiuntivo rispetto a quello già previsto nel bilancio dell'INAIL, che altrimenti realizzerebbe un risparmio di circa quindici milioni di euro all'anno che, del tutto insignificante per la gestione assicurativa, rende, però, bene la gravità del disagio economico per gli interessati.
 

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